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Jean-Jacques Annaud a Roma per presentare Il principe del deserto

13/12/2011 | News
Jean-Jacques Annaud a Roma per presentare Il principe del deserto

Questa mattina a Roma accompagnato dal protagonista Tahar Rahim, abbiamo incontrato il regista francese Jean-Jacques Annaud in occasione della presentazione del suo ultimo lavoro. Distribuito da Eagle Pictures il prossimo 23 dicembre, Il principe del deserto, tratto dal libro Il paese dalle ombre corte di Hans Ruesch, è una storia epica ambientata nella penisola Arabica intorno agli anni '20, dove si incontrano e scontrano ideologie progressiste e culture storicamente radicate, in conflitto a causa della supremazia sull’oro nero (Black Gold non a caso è il titolo originale).

La sua filmografia è in qualche modo sempre legata ad un grande amore per il passato.

Jean-Jacques Annaud: Io penso che il passato sia eterno. Il cinema è quello strumento con il quale riesco a sognare, e per farlo amo quelle storie che stanno ad una certa distanza dal tempo in cui viviamo.

Noi ti abbiamo conosciuto ed amato come interprete ne Il profeta. Cosa ti ha spinto ad accettare questo ruolo, così lontano dal precedente?

Tahar Rahim: Sin dalla prima lettura della sceneggiatura sono rimasto colpito dal personaggio di Auda, proprio per la sua positività e totale differenza con il personaggio de Il profeta. Il primo è un intellettuale e per questo molto riflessivo, ma nello stesso tempo diventa, come Malik, un leader vero e proprio. Dallo script, inoltre, si percepiva un differente modo di rappresentare il Medio Oriente. Ciò che mi accomuna con questo personaggio è indubbiamente la tolleranza. Questa per me era una sfida e non potrei essere più felice di aver accettato.

Omar Sharif ha più volte raccontato di quanto fosse difficile cavalcare un cammello. E’ stato lo stesso per lei?

Tahar Rahim: Omar Sharif aveva indubbiamente ragione. Mi sono allenato per un mese ma ho avuto comunque dei problemi, soprattutto quando montando un cavallo sono caduto dalla sella e ho dovuto lasciare le riprese per un giorno intero. Ma l’andatura zoppicante che avevo dopo l’incidente non è stata un problema perché abbiamo deciso di utilizzarla nel film.

Jean-Jacques Annaud: E’ stato indubbiamente un momento molto brutto delle riprese. In un primo momento temevo di aver compromesso il lavoro del mio interprete principale in modo grave. Fortunatamente non è stato così, ma ce ne siamo resi conto solo più tardi.

Quanto il celebre Lawrence D'Arabia di David Lean è stato fonte di ispirazione per il suo film?

Jean-Jacques Annaud: E’ un film straordinario ma devo ammettere che è da un po’ che non lo rivedo. Questo perché avevo il desiderio di raccontare una storia ambientata in quella parte del mondo, spesso dimenticata dal cinema e non solo, e non volevo in alcun modo farmi influenzare. Se volessi citare degli autori che mi hanno ispirato e guidato sono sicuramente i russi come Vladimir Pudovkin e Sergej M. Ejzenštejn, ma anche Akira Kurosawa e Sergio Leone.

Nel film c’è sicuramente una visione positiva del mondo arabo. Non ha, ogni tanto, temuto che venisse persa la stabilità del racconto per via di una eccessiva prudenza nella rappresentazione di punti di vista “differenti”?

Jean-Jacques Annaud: La ringrazio per la sua domanda ma la mia risposta è no. Volevo necessariamente restituire onestà a quel mondo, e per fare ciò mi sono affidato, durante le riprese, a studiosi del Corano e ad esperti della società civile araba. Lo stesso metodo lo avevo già utilizzato in Sette anni in Tibet, in modo tale da affrontare anche in quel caso entrambi i punti di vista. Sono stanco di vedere dei film dove i protagonisti sono giornalisti o infermiere americani che scoprono un paese diverso da loro. Pensiamo di aver esaurito le storie da raccontare, ma in realtà non è così.

Serena Guidoni

 


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